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Aree Scientifiche

Microbiologia

Le principali attività della Divisione di Microbiologia sono rivolte a garantire la stabilità e la sicurezza microbiologica degli alimenti attraverso la realizzazione di progetti di ricerca su temi specifici, l’assistenza diretta alle imprese mediante un servizio di analisi e di consulenza e la predisposizione di corsi di formazione per tecnici dell’industria alimentare.
Nelle sedi di Parma e Angri la Microbiologia collabora con i tecnologi, in modo da poter affrontare le diverse tematiche con un approccio integrato.

L’attività di Microbiologia, oltre a progetti di ricerca istituzionali condotti in collaborazione con Università e centri di ricerca, si sviluppa anche in un’attività di consulenza a supporto delle aziende agro-alimentari.

TEAM

Responsabile: Paola Mutti

Berni Elettra

Muffe e Micotossine. Studio delle strategie di inattivazione fungina. Identificazione di funghi filamentosi. Muffe termoresistenti.
Microbial Challenge test per prodotti vegetali.
Validazioni Impianti di confezionamento asettico
0521 795269
elettra.berni@ssica.it

Cacchioli Cristina

Collaborazione ricerca scientifica
0521 795265
cristina.cacchioli@ssica.it

Candi Ilaria

Servizio di analisi e supporto all’attività istituzionale.
0521 795201
ilaria.candi@ssica.it

Cigarini Massimo

Validazioni Impianti di confezionamento asettico.
Studio delle cinetiche di inattivazione microbiche (termiche e no). Analisi metagenomica (NGS) per la caratterizzazione di microbiota tipico e alterante di alimenti.
Supporto all’attività istituzionale
0521 795268
massimo.cigarini@ssica.it

Dondi Sonia

Controllo analitico di campioni ambientali e alimenti
0521 795264
sonia.dondi@ssica.it

Faccioli Angela

Servizio di analisi e supporto all’attività istituzionale.
0521 795262
angela.faccioli@ssica.it

Franceschini Barbara

Valutazione di nuove tecnologie per la stabilizzazione o il prolungamento della shelf-life di prodotti vegetali. Sostanze antimicrobiche per l’inattivazione di microrganismi patogeni e di alterazione. Identificazione di lieviti
0521 795263
barbara.franceschini@ssica.it

Frustoli Maria Angela

Analisi metagenomica (NGS) per la caratterizzazione di microbiota tipico e alterante di alimenti. Identificazione molecolare ceppi microbici. Microbial Challenge test per prodotti carnei
0521 795265
angela.frustoli@ssica.it

Grisenti Maria Silvia

Qualità e sicurezza sanitaria dei prodotti carnei. Microbial Challenge test per validazione di processi produttivi di prodotti carnei e per il corretto posizionamento di alimenti RTE secondo RE 2073/2005
0521 795267
silvia.grisenti@ssica.it

Longo Maria

Controllo analitico degli alimenti, acque e campioni ambientali.
Prove di stabilità, shelf-life e cause di alterazione
081 5133716
maria.longo@ssica.it

Peluso Elena

Consulenza e assistenza manuali e autocontrollo HACCP
081 5133719
elena.peluso@ssica.it

Scaramuzza Nicoletta

Controllo analitico di alimenti, acque e campioni ambientali.
Cause di alterazione, identificazioni microbiche. Validazioni Impianti di confezionamento asettico.
0521 795261
nicoletta.scaramuzza@ssica.it

Aree di attività

Impiego di tecniche molecolari

che permettano di distinguere entità microbiche strettamente correlate dal punto di vista genetico e studio della diversità microbica negli alimenti mediante tecniche di sequenziamento di nuova generazione (Next Generation Sequencing – NGS).

Validazione di processi produttivi

consolidati e/o ancora in fase di studio, con l’obiettivo di dimostrare scientificamente, mediante Microbial Challenge Testing, l’efficacia del processo nella riduzione di microorganismi patogeni e non nel rispetto delle normative nazionali ed internazionali.

Validazione di prodotti

pronti al consumo nei confronti di microorganismi patogeni, quali per esempio Listeria monocytogenes, mediante Microbial Challenge Testing, in risposta ai requisiti della normativa sui criteri microbiologici degli alimenti.

Validazione dei processi di sterilizzazione

degli impianti di riempimento utilizzati in ambito industriale (asettico, hot-filling) e dei devices asettici.

Valutazione dell’attività antimicrobica

di molecole attive e di tecnologie d’inattivazione microbica quali trattamenti termici e chimici, alte pressioni, sistemi ohmici, campi pulsati.

Determinazione della shelf-life

di diverse tipologie di prodotti, valutazione delle cause di alterazione microbiologica negli alimenti, identificazione e caratterizzazione di batteri e miceti attraverso sistemi biochimici e genomici

Supporto diretto all’industria

attraverso un laboratorio analisi che opera in accordo alla norma ISO 17025.

Microbiologia
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FAQ

Nei derivati del pomodoro possono ritrovarsi micotossine?

Le specie fungine che più frequentemente alterano i pomodori appartengono a generi quali Alternaria, Cladosporium, Botrytis, Rhizopus, Mucor, Colletotrichum e solo raramente ai generi Fusarium, Penicillium e Aspergillus. Conseguentemente, nei derivati del pomodoro la presenza delle micotossine attualmente regolamentate a livello europeo (patulina, aflatossine, ocratossina A, zearalenone, fumonisine, tricoteceni) non è ritenuta un rischio effettivo per la salute. Ciononostante, studi recenti su tali prodotti hanno permesso di rilevare la ricorrente presenza di tossine dell’Alternaria (acido tenuazonico, alternariolo, alternariolo monometil-etere) a concentrazioni anche elevate.

  1. a) La specie fungina Penicillium expansum, la più importante responsabile della produzione di patulina in frutti freschi, non è inclusa tra le muffe che frequentemente possono alterare i pomodori. Penicillium expansum è la principale causa di alterazione e di contaminazione da patulina delle mele e delle pere e, in misura inferiore, di frutti con nocciolo come pesche, albicocche, ciliegie, prugne. Essendo comunque il pomodoro considerato “frutto” dalla DIRETTIVA 2012/12/UE, l’unico prodotto a base di pomodoro attualmente sottoposto a regolamentazione europea per la patulina è rappresentato dal succo di pomodoro, nel quale il limite massimo ammissibile di tale tossina è pari a 50 µg/kg.
  2. b) Aflatossine, ocratossina A. Anche le specie fungine produttrici di aflatossine (appartenenti ad Aspergillus Flavi) e ocratossina A (Penicillium verrucosum, Penicillium nordicum, Aspergillus ochraceus e Aspergillus carbonarius) non sono incluse tra le più frequenti muffe che normalmente alterano i pomodori. A tale proposito, in una sperimentazione condotta presso la SSICA è stato osservato che nei derivati del pomodoro (passata, doppio e triplo concentrato) contaminati artificialmente, le aflatossine si sono degradate in tre mesi di stoccaggio a temperatura ambiente.

Per Aflatossine e ocratossina A attualmente non esiste un limite di legge nei derivati di pomodoro.

  1. c) Micotossine del genere Fusarium. Alcune specie di Fusarium, come equiseti, F. moniliforme (verticillioides), F. oxysporum e F. solani possono instaurarsi sul pomodoro fresco. Tuttavia, tali specie non sono le più frequenti cause d’alterazione di questa bacca. Inoltre, nella letteratura più recente non sono riportate notizie riguardanti la produzione di zearalenone, deossinivalenolo e fumonisine nel pomodoro da parte delle specie di Fusarium. Pertanto, anche le micotossine prodotte da Fusarium non sono considerate di interesse rilevante per i derivati del pomodoro. Nei confronti di queste specie fitopatogene la problematica viene affrontata mediante interventi di prevenzione in campo.

Per tali micotossine attualmente non esiste un limite di legge nei derivati di pomodoro.

  1. d) Micotossine del genere Alternaria. Il pomodoro costituisce uno dei substrati elettivi per la crescita di muffe appartenenti al genere Alternaria ( alternata, A. arborescens species-group, A. tenuissima species-group) e, conseguentemente, per la produzione di acido tenuazonico (TA), alternariolo (AOH), alternariolo monometil-etere (AME), altenuene (ALT) e tentossina (TEN).

Attualmente, non esistono limiti di legge europei relativamente a tali tossine, ad eccezione di un valore fissato dall’Autorità Bavarese per la Salute e la Sicurezza Alimentare a 500 µg/kg di acido tenuazonico in alimenti destinati all’infanzia a base di sorgo o di miglio.

Il succo di limone e i derivati agrumari possono contenere patulina? E i succhi di frutta?

La patulina non è normalmente presente nei succhi di limone e nei derivati agrumari in genere. Infatti, Penicillium expansum è la principale causa di alterazione e di contaminazione da patulina dei frutti freschi come la mela, la pera e, in misura inferiore, i frutti con nocciolo (pesca, albicocca, ciliegia, prugna) e l’uva, mentre non è la principale causa di alterazione degli agrumi.

Inoltre, la sintesi di patulina da parte di Penicillium expansum risulta inibita dagli oli essenziali di arancia e di limone.

In uno studio condotto presso la SSICA su succhi limpidi di mela, nettari di albicocca e di frutta tropicale è stato osservato che la patulina diminuisce in modo significativo nel corso di 1, 2 e 3 mesi di stoccaggio rispettivamente. In presenza di gruppi solforati la patulina reagisce rapidamente, formando addotti con minore o nessuna tossicità.

La presenza di un micelio fungino in una bevanda può indurre il timore di intossicazione?

Innanzitutto, la causa dello sviluppo fungino è spesso la cattiva conservazione del prodotto già aperto dal consumatore. In ogni modo, non sono documentati nell’uomo “fenomeni acuti” o lesioni immediate e specifiche ad organi interni, causati da ingestione accidentale di bevande industriali nelle quali venga rilevata, solo successivamente al consumo, la presenza di micelio fungino (che, in casi del genere, in considerazione della tipologia del prodotto e del contenitore, può manifestarsi visibilmente con dimensioni che al massimo raggiungono qualche centimetro).

Si ritiene che eventuali sintomi addominali e conati di vomito, talvolta riferiti dai consumatori subito dopo l’accidentale ingestione di tali prodotti, siano imputabili a cause d’altra natura e/o al meccanismo nervoso riflesso di tipo condizionato.

Possono gli aliciclobacilli alterare i derivati del pomodoro?

Gli aliciclobacilli sono dei batteri gram positivi, sporigeni, acidofili, termotolleranti aerobi stretti; il loro habitat naturale è il suolo e sorgenti termali acide terrestri o acquose. Le spore sono in grado di germinare a basso valore di pH. La specie responsabile dell’alterazione dei derivati della frutta è l’Alicyclobacillus acidoterrestris: esso non produce gas e non modifica il pH del prodotto ma i metaboliti prodotti in seguito allo sviluppo determinano la formazione di un aroma “di medicinale” che ne altera le caratteristiche organolettiche (polifenoli, soprattutto guaiacolo). Questa specie microbica ha una termoresisistenza di 2-3 minuti a 95°C. I trattamenti termici impartiti ai derivati del pomodoro non concentrati sono generalmente sufficienti ad inattivare queste spore. Tuttavia negli ultimi anni si sono riscontrati diversi casi di alterazione di derivati del pomodoro non concentrati da parte di aliciclobacilli. L’alterazione veniva segnalata dai consumatori che avvertivano odori e sapori anomali (“cattivi”) del prodotto. È stato verificato che il responsabile dell’alterazione di questi prodotti è l’Alicyclobascillus acidocaldarius. Esso non produce guaiacolo, metabolita indicato invece in bibliografia come il principale responsabile dell’”off-flavor” nei succhi di frutta. Inoltre dalle prove di termoresistenza, le spore dei ceppi isolati da derivati del pomodoro sono risultate molto più resistenti (D105 variabili da 5 a 15 min) rispetto alle spore dell’A. acidoterrestris: poichè i trattamenti termici applicati al pomodoro sono più drastici rispetto a quelli applicati alla frutta, le spore dell’A. acidocaldarius risultano così le uniche in grado di germinare e crescere nei derivati del pomodoro. Al fine di ridurre il rischio di alterazione da parte di questi microrganismi nel prodotto finito, risultano di fondamentale importanza l’elevata qualità della materia prima, un adeguato lavaggio e buone condizioni igieniche di lavorazione. È inoltre fondamentale effettuare un raffreddamento rapido dopo il trattamento termico e immagazzinare i prodotti a temperature non superiori a 25°C per impedire la germinazione delle spore sopravvissute.

Quale è il significato della presenza di batteri termofili sporigeni in derivati della frutta?

I batteri termofili sporigeni si sviluppano in maniera ottimale alla temperatura di 55°C; essi sono stati suddivisi in termofili facoltativi e obbligati secondo che la temperatura minima di accrescimento rientri oppure no nell’intervallo termico di accrescimento dei batteri mesofili. I batteri termofili obbligati sono definiti stenotermofili se incapaci di moltiplicarsi a 37°C; i termofili facoltativi sono definiti euritermofili e possono svilupparsi anche a temperature uguali o inferiori a 37°C. L’alterazione delle conserve alimentari causata dai batteri termofili è generalmente dovuta a un inadeguato raffreddamento dopo il trattamento termico e/o al magazzinaggio a temperatura elevata. I batteri termofili sporigeni responsabili di alterazione delle conserve alimentari sono ascrivibili alle specie Bacillus coagulans, Geobacillus stearothermophilus (ex Bacillus), Thermoanaerobacterium Thermosaccharolyticum (ex Clostridium), Alicyclobacillus spp. Poiché i trattamenti termici applicati alle conserve alimentari, sia acide che no, inattivano sicuramente le loro cellule vegetative, la possibilità che essi alterino conserve alimentari è circoscritta alla possibilità che le loro spore (la spora è una struttura biologica resistente al calore) siano capaci di germinare (revitalizzarsi) e svilupparsi in cellule capaci di attiva moltiplicazione. Tale possibilità è, comunque, funzione dei valori di pH degli alimenti. Esistono, infatti, valori limite di pH al di sotto dei quali non è possibile la germinazione; essi sono, con rarissime eccezioni riportate in letteratura, per G. stearothermophilus pH pari a 5,1, per T. Thermosaccharolyticum pH uguale a 4,3, per B. coagulans pH pari a 4,2 e per Alicyclobacillus spp. pH uguale a 2- 2,5. L’inattivazione termica di tali spore, peraltro, non è sempre possibile; i primi due batteri termofili sopracitati producono spore di resistenza termica tale da non essere inattivate neanche con gli usuali processi termici di sterilizzazione applicati a conserve non acide. È necessario, infatti, raggiungere valori di letalità pari a F121= 28-32 minuti per ottenere una ragionevole probabilità di stabilità microbiologica a temperature di raffreddamento e/o magazzinaggio elevate. Per i microrganismi B. coagulans e Alicyclobacillus, invece, effettuando trattamenti termici riferibili a F100 con durata variabile in funzione del pH del prodotto, è possibile ottenere la stabilità microbiologica a temperature ambientali superiori alla media dei climi temperati. Da quanto riportato è possibile affermare che la ricerca di batteri termofili sporigeni in conserve alimentari a elevata acidità e bassi valori di pH, come i derivati della frutta, ha una giustificazione solo riguardo ai microrganismi appartenenti al genere Alicyclobacillus. Questi batteri sono definibili come termofli facoltativi e alterano il prodotto senza produzione di gas ma producendo sostanze maleodoranti come il guaiacolo; essi, essendo aerobi stretti, si sviluppano solo in conserve di frutta che, per la modalità di confezionamento, contengano sufficienti quantità di ossigeno nello spazio di testa della confezione e/o nel prodotto stesso. È anche da rilevare che la ricerca di spore dei batteri B. coagulans, G. stearothermophilus e T. Thermosaccharolyticum in conserve di frutta può avere esito positivo in quanto esse, essendo di origine tellurica, sono in varia misura presenti nelle materie prime e l’utilizzazione di terreni colturali a valori di pH vicini alla neutralità ne permette la germinazione altrimenti impossibile nei prodotti per il loro basso valore di pH. Tale riscontro non ha alcun valore diagnostico riguardo all’alterazione del prodotto.

A che tipo di analisi microbiologica sono sottoposte le conserve acide?

I prodotti alimentari conservati sono suddivisi in due tipologie a seconda che il loro valore di pH sia superiore a 4.6 o inferiore/uguale a 4.6. Ai due gruppi così differenziati vengono impartiti trattamenti termici di diversa entità; in particolare, sono applicati trattamenti di stabilizzazione microbiologica o sterilizzazione a seconda che i valori di pH siano, rispettivamente, inferiore/uguale a 4.6 o superiori a 4.6. Ciò è dovuto alla diversa capacità di sviluppo, in funzione del valore di pH, del batterio patogeno Clostridium botulinum, responsabile di intossicazioni letali dovute a neurotossine. Infatti, dati scientifici attestano che il pH minimo limitante la germinazione delle spore di C. botulinum è pari a 4,6. Tale batterio non è, quindi, capace di moltiplicarsi, nella forma di spore, a valori inferiori; peraltro le cellule vegetative di C. botulinum, così come le cellule di tutti gli altri microrganismi presenti negli alimenti, sono sicuramente inattivate dal trattamento termico di stabilizzazione microbiologica poiché la resistenza cellulare al calore è molto bassa. In alimenti conservati, cui sia stato impartito un trattamento termico di stabilizzazione microbiologica, con pH inferiori/uguale a 4.6 è, pertanto, inibita la capacità di sviluppo di C. botulinum e, quindi, la produzione delle neurotossine letali. Il basso valore di pH (e l’elevata acidità) di tali conserve alimentari è condizione, da sola, sufficiente a inibire la germinazione delle spore e l’accrescimento del batterio in questione. Per i prodotti vegetali naturalmente non acidi, pertanto, è di fondamentale importanza la corretta acidificazione con correttori di acidità quali acido citrico, acido acetico, acido lattico ecc., operazione tecnologica che comprende anche il controllo continuo del valore di pH prima del confezionamento al fine di assicurarne l’omogeneità. Il controllo delle conserve alimentari con valori di pH ≤ 4.6 viene eseguito mediante il metodo di prova denominato “Stabilità microbiologica”. Secondo quanto previsto dal metodo, il campione viene analizzato dopo incubazione a 30 °C per 14 giorni con lo scopo di verificare la presenza di microrganismi di alterazione, eventualmente presenti nel prodotto già trattato termicamente e raffreddato, anche a concentrazione di una sola cellula per contenitore, indipendentemente dalla capacità di quest’ultimo. Pertanto, l’analisi di “Stabilità microbiologica”, è diretta a verificare la presenza dei microrganismi capaci di svilupparsi ai suddetti valori di pH (in funzione del prodotto: batteri lattici, miceti, enterobatteri, B. coagulans); essa viene effettuata in modalità qualitativa, utilizzando esclusivamente terreni colturali selettivi per tali microrganismi. Non si effettuano, quindi, analisi di tipo qualitativo o quantitativo su terreni colturali generali quali PCA, TSA, S.A., TSC, O.P.S.P ecc., poiché in questi si verifica accrescimento di spore batteriche del genere Bacillus e/o Clostridium, generalmente presenti nelle materie prime, non inattivate dai trattamenti termici impartiti alle conserve acide al fine di ottenerne la stabilità microbiologica. I trattamenti termici impartiti a conserve alimentari aventi pH inferiore/uguale a 4.6, infatti, non si prefiggono l’inattivazione di tutte le spore presenti nelle materie prime ma solo di quelle capaci di germinare (ritrasformarsi in cellule metabolicamente attive) anche a quei valori di pH e alterare il prodotto. Le spore non inattivate dai trattamenti termici non germinano e, quindi, non si accresce una flora batterica capace di alterare l’alimento, a causa dei valori di acidità e di pH di questo. Queste strutture microbiche permangono, pertanto, in tali conserve in forma silente o dormiente ma si sviluppano solo quando entrano in contatto con terreni colturali generali i cui valori di pH sono sensibilmente superiori a quelli delle conserve alimentari acide. Tale riscontro analitico non ha alcun significato ai fini della stabilità microbiologica delle conserve alimentari aventi pH ≤ 4.6.

Che tipo d’inquinamento microbiologico apportano le spezie?

La flora microbica iniziale delle spezie è la stessa di altri prodotti agricoli raccolti in condizioni simili di suolo e climatiche. Tale flora è costituita, quindi, da microrganismi tipici del suolo e delle piante in cui si sono sviluppati e che sopravvivono al processo di essiccazione. Possono verificarsi, ovviamente, processi esterni d’ inquinamento microbico dovuto a insetti, polvere e, talvolta, acqua di lavorazione. È altrettanto vero, come riportato da studi scientifici, che la carica microbica subisce una diminuzione durante il magazzinaggio purchè questo sia effettuato in adatte condizioni igieniche nonché di temperatura e umidità. In generale, il pericolo di alterazioni alimentari e di infezione e/o intossicazioni rappresentato dall’utilizzazione di spezie come ingredienti alimentari deve essere attentamente valutato nel contesto dell’uso delle spezie stesse. A tale proposito, un’importante organizzazione come la ICMSF (International Commission on Microbiological Specifications for Foods) considera le spezie nel “Caso 2” dei Piani di Campionamento: Tipo di pericolo: non sono un pericolo diretto per la salute; Condizioni in cui l’alimento è manipolato e consumato: non causano variazioni nell’entità del pericolo. I pericoli e i rischi sono quindi considerati non elevati; è richiesta la sola analisi di “Carica microbica totale”. I valori di tale analisi riportati in pubblicazioni scientifiche risultano sempre elevati (fino a 10E7 ufc/g) anche per spezie abitualmente prodotte in paesi occidentali in condizioni controllate. Riferendoci più specificatamente al ritrovamento di batteri appartenenti alla famiglia Enterobacteriaceae è da considerare che esso non può essere considerato indice esclusivo di contaminazione fecale o di insudiciamento in quanto numerosissime specie di tali microrganismi sono normali componenti della flora microbica tipica di materie prime vegetali non contaminate, peraltro, da escrementi di qualsiasi provenienza. La maggior parte di tali specie non esprime alcun carattere di patogenicità per l’uomo. I processi di essiccazione, inoltre, a cui sono sottoposte le spezie come prodotto fresco, provocano un aumento della concentrazione cellulare per grammo dovuto alla sensibile riduzione della quantità totale di acqua contenuta all’origine. La presenza di coliformi totali (gruppo comunque appartenente alle Enterobacteriaceae) non è più ritenuta, per i motivi di cui sopra, indicatrice di contaminazione fecale. Un più sicuro indicatore di contaminazione fecale è rappresentato dalla specie E. coli, in quanto di certa provenienza intestinale. I processi di cottura in forno cui sono sottoposti i prodotti di cui le spezie analizzate possono costituire un ingrediente, rappresentano un mezzo molto efficace nella riduzione della carica microbica totale del prodotto. Peraltro, tale processo di cottura riduce molto sensibilmente i valori di umidità e di attività dell’acqua non permettendo, di fatto, alcuno sviluppo microbico a partire dalla eventuale carica microbica residua, se preservati dall’umidità ambientale mediante un corretto confezionamento.

Cosa è il reinquinamento delle confezioni?

Una delle cause di alterazione delle conserve alimentari è l’inquinamento successivo al trattamento termico (o reinquinamento). Questo fenomeno consiste nella penetrazione di microrganismi, generalmente veicolati dall’acqua, durante o dopo il raffreddamento delle confezioni. In questa fase del ciclo produttivo, infatti, il contatto della confezione, molto calda, con acqua fredda determina un grado di vuoto tale da poter aspirare, attraverso perdite permanenti di ermeticità (dovute a difetti dell’imballaggio) o temporanee (microperdite), fluidi dall’ambiente esterno. La possibilità di alterazione dipende dal grado di vuoto all’interno della scatola, dalla concentrazione dei microrganismi nell’acqua di raffreddamento, dal tipo di microrganismi, da forma e dimensione del canale di penetrazione, dal tempo di contatto. Diversi tipi di microrganismi possono causare l’alterazione dei prodotti reinquinati: cellule vegetative di batteri e miceti, spore di batteri mesofili aerobi e anaerobi, talvolta batteri patogeni. In ogni caso, assume particolare rilevanza il grado di contaminazione dell’acqua di raffreddamento; più elevata è la concentrazione microbica nell’acqua, maggiore sarà la probabilità di alterazione del prodotto. L’acqua, quindi, deve rispondere a determinati requisiti microbiologici; peraltro, anche nel caso di forniture di acqua già potabilizzata (da acquedotto), il riciclo generalmente effettuato in produzione causa un sensibile aumento della concentrazione di microrganismi. Al fine di rendere più bassa possibile la probabilità di alterazione delle confezioni, quindi riscontrare il minor numero possibile di confezioni alterate, è necessario ricorrere a trattamenti di disinfezione per inattivare il maggior numero possibile di microrganismi. A tale scopo si utilizzano sostanze chimiche come cloro gassoso, ozono, ipoclorito di sodio o mezzi fisici come i raggi U.V. Peraltro, le aziende produttrici di alimenti sono tenute a utilizzare, in tutte le fasi di produzione, acqua potabile rispondente ai requisiti di legge.

Viene effettuata l'analisi della Carica microbica totale in prodotti acidi?

Le conserve alimentari vegetali acide (con valori di pH inferiori a 4,6) sono alterabili esclusivamente da batteri lattici, B. coagulans, enterobatteri, clostridi butirrici, clostridi termofili, lieviti e muffe. Tipi diversi di microrganismi non sono in grado di accrescersi in tali prodotti a causa dei bassi valori di pH e della elevata acidità. Pertanto, l’analisi microbiologica detta di stabilità, in cui il campione viene analizzato dopo incubazione a 30°C per 14 giorni, è diretta a verificare la presenza dei microrganismi suddetti utilizzando esclusivamente terreni colturali selettivi per essi. Non si effettua l’analisi denominata “carica microbica totale” (la quale prevede l’utilizzo di terreni colturali generali quali PCA, TSA, ecc.), poiché in questi si verifica accrescimento di spore batteriche del genere Bacillus comunque presenti in tutte le materie prime. Infatti, i trattamenti termici impartiti a conserve alimentari acide non prevedono la inattivazione di tutte le specie di spore del genere Bacillus (analogamente per le spore del genere Clostridium), poiché la maggior parte di esse sono comunque incapaci di germinare e alterare il prodotto a causa dei valori di acidità e di pH di questo. Pertanto, queste strutture microbiche (spore) permangono in tali conserve in forma silente o dormiente ma si sviluppano solo quando entrano in contatto con terreni colturali generali. L’analisi denominata “carica microbica totale” non ha, quindi, alcun significato riferibile alla stabilità commerciale del prodotto; peraltro, tale determinazione non è utilizzata neanche per determinare la sterilità commerciale di prodotti con pH > 4,6, la quale prevede modalità operative e terreni colturali completamente diversi. Non risulta esistere, inoltre, né in forma ufficiale né in forma ufficiosa, un limite massimo di ufc/g relativo alla determinazione “carica microbica totale”.

Quale è il significato della presenza di clostridi solfito riduttori in prodotti acidificati?

La presenza di cellule e spore di clostridi solfito riduttori nelle materie prime alimentari è comune e frequente come, peraltro, quella di altri batteri sporigeni. Le normali pratiche di conservazione e trasformazione dei prodotti agro-alimentari come pastorizzazione, sterilizzazione, refrigerazione, congelamento, fermentazione, salagione, salamoiatura, essiccazione, ecc. hanno il preciso scopo di inattivare cellule e spore microbiche, impedire la germinazione sporale o inibire la moltiplicazione cellulare. Nel caso specifico di materie prime alimentari conservate in acido acetico, le elevate concentrazioni di acido utilizzate assolvono, ottimamente, al compito della conservazione poiché l’acido acetico ha l’effetto di inattivare la maggior parte delle cellule microbiche e di impedire la germinazione delle spore, anche per la diminuizione del pH dei prodotti.

In particolare, per quanto riguarda i clostridi solfito riduttori patogeni, è da rilevare che:

  • l’accrescimento di Clostridium botulinum è inibito da concentrazioni di NaCl pari o superiori al 10% e da valori di pH inferiori a 4,6;
  • l’accrescimento di Clostridium perfringens è inibito da concentrazioni di NaCl pari o superiori al 5% e da valori di pH inferiori a 5,0.

Il conteggio di clostridi solfito-riduttori in alimenti acidificati rileva, quindi, quasi esclusivamente le spore di tali batteri patogeni e non patogeni (es. Clostridium sporogenes) le quali non hanno la capacità/possibilità di germinare e dare luogo ad alterazioni del prodotto.

Pertanto la presenza di spore in una materia prima non ricopre un particolare significato di patogenicità e la possibilità di sviluppo dipende esclusivamente dalle pratiche di trasformazione successive al lavaggio del prodotto acidificato.

Peraltro, sarà sempre riscontrabile la presenza, anche esigua, di clostridi solfito-riduttori nella materie prime acidificate poiché le pratiche precedenti le fasi di acidificazione (cernita, taglio, lavaggio, ecc.) non possono determinarne la completa asportazione dal prodotto.

È anche, da rilevare che i processi industriali successivi al lavaggio tendono:

  • nel caso di prodotti acidificati a pH inferiori a 4,6 e stabilizzati termicamente, a inattivare le cellule microbiche e a impedire la germinazione delle spore;
  • nel caso di prodotti non acidificati, ma sterilizzati, a inattivare sia le cellule che le spore microbiche mesofile.

La correttezza e l’effetto dei processi di produzione delle conserve alimentari sono controllati e stabiliti attraverso l’applicazione delle “Pratiche di buona lavorazione” e del sistema HACCP.

Che cosa è un Microbial Challenge Test (MCT)?

Consiste in una simulazione effettuata in laboratorio di ciò che accade a un prodotto durante la produzione, la distribuzione e la manipolazione. Comporta l’inoculo, in condizioni ambientali controllate, di un numero rilevante del microrganismo oggetto dello studio in modo da valutare il rischio di insorgenza di tossinfezioni. Sostanzialmente si conoscono due tipi di MCT:

  • MCT di processo – Comporta l’inoculo, in condizioni ambientali controllate, di un numero rilevante del microrganismo oggetto dello studio nella materia prima e la valutazione di cosa succede al microrganismo durante il processo produttivo. Può fornire una validazione dei processi produttivi
  • MCT di prodotto – Comporta l’inoculo, in condizioni ambientali controllate, di un numero rilevante del microrganismo oggetto dello studio nel prodotto finito, il confezionamento del prodotto nelle condizioni di commercializzazione e la valutazione di cosa succede al microrganismo durante la shelf-life. Può fornire una giustificazione scientifica per il corretto posizionamento di prodotti RTE nelle categorie alimentari per Listeria monocytogenes previste nel Reg. 2073/2005.

L’esecuzione di un MCT è preceduta da una fase di pianificazione, nel corso della quale vengono elaborate una serie di considerazioni relative allo specifico alimento oggetto del test. I fattori presi in esame in questa fase preliminare sono:

  • il processo produttivo e i suoi effetti sull’andamento della popolazione microbica nel prodotto finito,
  • il profilo microbiologico delle materie prime e del prodotto finito,
  • l’identificazione dei rischi di tossinfezioni e di alterazioni del prodotto in esame,
  • tipi e caratteristiche dei microrganismi potenzialmente pericolosi per il prodotto,
  • capacità di crescita dei microrganismi potenzialmente pericolosi per il prodotto.

In ambito alimentare, esistono specie fungine emergenti per quanto riguarda la resistenza ai ...

In ambito alimentare, esistono specie fungine emergenti per quanto riguarda la resistenza ai trattamenti termici impartiti alle bevande?

Sì. Dai dati della letteratura più recenti, alcuni ceppi appartenenti al genere Paecilomyces sono risultati responsabili di casi d’alterazione di bevande trattate termicamente. Nonostante le prove per accertare la loro termoresistenza non abbiano dato risultati soddisfacenti (R. A. Samson, E. S. Hoekstra e J. C. Frisvad, in Introduction to Food- and Airborne Fungi, 7a ed., CBS, Utrecht, 2004; E. Pieckova e R. A. Samson, J. Ind. Microbiol. Biotechnol., 24, 227 (2000), si suppone che le particolari strutture di cui tali muffe sono dotate (abbondanti clamidospore e ife dalle pareti spesse) gli abbiano permesso di sviluppare una discreta resistenza al calore.

Per quale ragione le bevande confezionate in bottiglie di materiale plastico possono subire ...

Per quale ragione le bevande confezionate in bottiglie di materiale plastico possono subire alterazioni da muffe?

L’alterazione fungina di bevande può essere imputata a muffe termoresistenti o, nella maggior parte dei casi, a muffe non termoresistenti. Nel primo caso, le spore fungine sono presenti a monte in uno o più ingredienti impiegati per la preparazione del prodotto e non vengono inattivate dal trattamento termico impartito. Nel secondo caso, l’inquinamento si verifica successivamente al trattamento termico ed è dovuto al reinquinamento del contenitore, se la conformazione del tappo non permette la chiusura ermetica della bottiglia. In particolare, la ricontaminazione successiva al trattamento termico avviene poiché, in presenza di sostanze nutritive e acqua o di sola umidità, le spore delle muffe presenti nell’atmosfera possono germinare e le loro ife penetrare nella bottiglia per accrescimento apicale attraverso i punti difettosi tra tappo e collo. Il presupposto necessario perché tale penetrazione avvenga è che nel difetto di chiusura ci sia un velo o una colonna continua di liquido. La ricontaminazione successiva al trattamento termico e la mancanza di chiusura ermetica tra tappo e bottiglia possono essere valutate mediante un’analisi accurata dei diversi punti di chiusura della bottiglia (filetto della bottiglia, tappo, battuta) e del prodotto. In tal caso, all’apertura dello stesso tutte le bottiglie possono presentare gocce di prodotto lungo la filettatura e sia in corrispondenza di tali punti sia all’interno del prodotto viene rilevata la presenza una o più specie fungine non termoresistenti.

Le conserve vegetali confezionate in asettico possono ammuffire?

Sì, anche dopo molti mesi dalla produzione. I contenitori flessibili o semirigidi possono presentare difetti come rotture o microfori, dovuti a saldature incomplete, che possono determinare il reinquinamento microbico di un prodotto acido. La penetrazione dei microrganismi può avvenire rapidamente, entro pochi giorni, soprattutto se i microrganismi in grado di contaminare o alterare il prodotto sono mobili, oppure in tempi più lunghi (diversi giorni, settimane o più), se il prodotto subisce la contaminazione da parte di microrganismi non mobili come i miceti. Quest’ultima eventualità assume rilevanza qualora il prodotto sia sottoposto alla movimentazione dovuta a un lungo trasporto e a un lungo periodo di conservazione.

In questo caso le muffe diventano la causa principale dell’alterazione dei semilavorati acidi, nei quali possono produrre anche grandi quantità di micelio, che si sviluppa soprattutto sulla superficie del prodotto, senza necessariamente causare il bombaggio del sacco. Le muffe, infatti, possono comportarsi come microrganismi mobili, grazie al loro tipico sviluppo, che avviene per accrescimento apicale delle ife (le ife sono le cellule costitutive del micelio e hanno aspetto tubolare).

In particolare, possono svilupparsi anche alla presenza di sola umidità e di tracce di sporco: le loro spore, sempre presenti nella polvere, nella sostanza organica esposta all’aria e nell’aria stessa, depositatesi sulle superfici dei contenitori, possono germinare e penetrare attraverso i punti difettosi del contenitore. Il presupposto necessario, per ogni tipo di penetrazione, è però che nel difetto di saldatura ci sia un velo o una colonna continua di liquido. L’interruzione del velo di liquido, per presenza d’aria, olio o altre inclusioni, può impedire la penetrazione dei microrganismi.

La contaminazione dei contenitori flessibili può avvenire:

1-per chiusura imperfetta, dovuta a grinze o inclusione di materiale organico;

2-attraverso fori dovuti a movimentazioni non adeguate (senza riguardo).

Le precauzioni da adottare, per i semilavorati di prodotti acidi, possono essere: a)rapido asciugamento esterno delle buste o sacchi, b)trasporto verso l’imballaggio secondario (fusto) adeguato, per evitare rotture del sacco.

È stata individuata la causa del cosiddetto “difetto dell’acido fenico” dei prosciutti?

Sì. La causa è imputabile allo sviluppo all’interno dell’anchetta di “muffe” appartenenti a una di queste due specie: Penicillium commune e Penicillium solitum, che sono molto frequenti nell’aria degli ambienti confinati, possono accrescersi in presenza di concentrazioni elevate di sale (fino al 17,5%) e sul prodotto durante la stagionatura ad UR superiori all’85%.Tali specie, durante il loro sviluppo, che si verifica per eccesso di acqua libera all’interno dell’osso iliaco, sono in grado di produrre il composto volatile che è responsabile del difetto e che si diffonde anche nella porzione muscolare, in essa si riassorbe, più o meno diffusamente e intensamente in funzione dell’entità dell’alterazione fungina.

Ci sono accorgimenti per impedire che sui prosciutti si sviluppi tale difetto?

Sì. È importante tenere presente alcune importanti norme di comportamento:

  1. a) allontanare sempre e comunque le fonti di inquinamento ambientale da spore fungine, per esempio i prosciutti sui quali si osservi una estesa proliferazione fungina, condizioni che possono e determinare l’aumento dell’inquinamento ambientale da “muffe”. È stato calcolato che il livello di contaminazione dell’anchetta deve risultare inferiore a 100 spore fungine/anchetta;
  2. b) durante la fase di salagione, mantenere la soluzione salina satura sulla superficie del prosciutto, soprattutto in prossimità dell’anchetta;
  3. c) mantenere la coscia durante le fasi di riposo, di prestagionatura e di stagionatura in condizioni di U.R. ambientale inferiori all’85%.

Si può evitare lo sviluppo di muffe indesiderate, e in particolare di quelle pericolose per la ...

Si può evitare lo sviluppo di muffe indesiderate, e in particolare di quelle pericolose per la salute dell’uomo, sulla superficie di salami tradizionali e altri insaccati?

Sì. Il controllo dell’ammuffimento superficiale può essere praticato mediante l’impiego di colture fungine starter selezionate, disponibili in commercio, o favorendo naturalmente (con accorgimenti specifici adatti, caso per caso) lo sviluppo di specie autoctone riconosciute sicure attraverso studi mirati. Gli starter commerciali sono costituiti da ceppi fungini selezionati, in grado di garantire al prodotto un aspetto gradevole e buone caratteristiche tecnologiche e organolettiche, di non produrre antibiotici o metaboliti tossici come le micotossine. Il prodotto stesso, subito dopo l’insacco, può essere inoculato con la sospensione in acqua dei conidi della coltura starter, mediante nebulizzazione o immersione nella sospensione stessa. Tra le colture starter dichiarate sicure per la salute e funzionali ai processi tecnologici di stagionatura applicati alle carni, quella di Penicillium nalgiovense, isolato inizialmente dalla superficie di insaccati carnei quale “specie addomesticata”, è quella attualmente più impiegata nelle produzioni industriali italiane. Anche Penicillium chrysogenum è uno starter consentito dalla legislazione italiana. Tuttavia, il suo impiego non sempre ha soddisfatto le aspettative, perché alcuni ceppi, caratterizzati inizialmente da conidiazione bianca (tipica dei ceppi “addomesticati”, commerciali), tornano a produrre conidi di colore verde, tipico della specie di provenienza o “selvaggia”.

Lo sviluppo di muffe sulla superficie degli insaccati è dannoso?

No, nella maggior parte dei casi. La presenza di micelio fungino sul budello è generalmente indice del buon andamento della maturazione degli insaccati. Per tale motivo, fino ad un passato recente lo sviluppo del micelio è stato affidato alla casualità. Tuttavia, nel caso in cui insorgano problemi tecnologici attribuibili al non corretto andamento dei parametri termo-igrometrici applicati durante la fermentazione, ciò potrebbe provocare un’alterazione del prodotto finito, come l’aspetto inaccettabile del budello (es. macchie scure o arancioni) e/o la formazione di off-flavours, dovuti allo sviluppo di specie fungine indesiderate. Tali problematiche rappresentano un danno prevalentemente commerciale per il produttore.

Al contrario, nel caso in cui insorgano problematiche legate allo sviluppo di muffe micotossigene, il problema non sempre è manifesto, in quanto tali muffe possono essere caratterizzate da una pigmentazione chiara. Tra le muffe associate ai prodotti carnei fermentati, quelle micotossigene sono Aspergillus westerdijkiae (solo recentemente distinto da Aspergillus ochraceus) e Penicillium nordicum, ritenuti i maggiori responsabili della produzione di ocratossina A nei derivati carnei fermentati o stagionati. A tale riguardo, studi condotti presso la SSICA sui salami hanno comunque permesso di registrare, durante il processo di maturazione, una progressiva parziale riduzione di questa tossina, presumibilmente in virtù dell’azione detossificante esercitata dai microorganismi presenti nella carne.

In virtù delle considerazioni di cui sopra, sarebbe quindi opportuno identificare periodicamente la/le specie fungine predominanti in grado di instaurarsi sul prodotto, in modo da individuare ed eradicare le specie in grado di produrre difetti d’aspetto o metaboliti indesiderati o tossici, non necessariamente collegati a difettosità manifeste. A tale proposito, si fa presente che nella produzione degli insaccati crudi, allo scopo di limitare o inibire lo sviluppo di muffe indesiderate o tossigene, è anche consentito il trattamento superficiale con colture fungine starter appartenenti alle specie Penicillium chrysogenum e Penicillium nalgiovense (D.M. 28 Dicembre 1994. Gazzetta Ufficiale Repubblica Italiana, N. 89, 4-5, 15.04.1995).

Cosa è un indicatore biologico?

Con il termine di Indicatori biologico (IB) si intende un sistema composto da un microrganismo e da un carrier su cui esso, o le sue spore, è depositato. Gli IB sono utilizzati sia in campo farmaceutico sia in quello alimentare per monitorare e dimostrare l’efficacia nell’inattivazione microbica di diversi processi di sterilizzazione, sia chimici sia fisici.  Più in dettaglio, gli IB possono essere definiti come “preparazioni standardizzate” di microrganismi con caratteristiche note quali

  • Popolazione definita: nome del ceppo e codice identificativo della collezione di appartenenza, purezza
  • Elevata resistenza all’agente inattivante
  • Facilità di identificazione
  • Non patogeni, poco esigenti e semplici da maneggiare

Quali sono le principali funzioni di un carrier?

Le principali funzioni di un carrier sono:

  • Fungere da supporto per il microrganismo per veicolare il microrganismo target a contatto con l’agente inattivante
  • Essere inerte rispetto al microrganismo target e al processo di sterilizzazione
  • Essere adatto per forma e dimensioni allo scopo per cui viene utilizzato
  • Essere facile da recuperare

Quali carrier possono essere utilizzati ampolle (self-contained,) strip di diverso materiale quali alluminio, acciaio, PVC o, nel caso di validazione del packaging, il packaging stesso.

Quali sono le differenze fra trattamenti letali e post-letali?

  • Trattamento letale –Trattamento in grado di determinare, durante il processo produttivo, la necessaria riduzione del numero di microrganismi patogeni in un alimento, al fine di ottenere un prodotto sicuro per il consumo umano.Trattamento post letale – Trattamento applicato al prodotto con lo scopo di ridurre o eliminare il livello di patogeni derivanti dalla sua esposizione, in una fase successiva al trattamento letale, ad un ambiente post-letale.

Quando un prodotto si considera esposto ad un ambiente post-letale?

  • Un prodotto si considera esposto ad un ambiente post-letale quando, dopo essere stato sottoposto ad un trattamento letale, nell’area dello stabilimento di produzione può subire una ricontaminazione microbica.

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